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MARIA E L’EUCARISTIA NON SONO MAI MANCATI NELLA VITA DI DUE GRANDI SANTI

Angelo Roncalli era un uomo con una pazienza serena, capace di sopportare i disagi e le prove della vita. Fin da giovane fece il proposito di alimentare sempre la fede, non lasciarla invecchiare mai, cercando di rimanere sempre bambino di fronte a Dio, come insegna Gesù nel Vangelo. 
Fu un sacerdote libero da ambizioni di carriera e capace di cordiale collaborazione. Come Vescovo prima e come Romano Pontefice poi, seppe sempre curare una forma collegiale nell’esercizio dell’autorità, con una cura speciale per i sacerdoti e la loro formazione, come per i laici spronandoli a un apostolato responsabile. È a partire da questo costante desiderio di far crescere nella fede che si impegnò per favorire la partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia, così come ebbe sempre una spiccata sensibilità ecumenica. 
Visse la fede con una sensibilità vicina alle forme della pietà popolare: il culto eucaristico nelle sue diverse espressioni come la visita e l’adorazione del SS. Sacramento; la devozione al Cuore di Gesù, la devozione alla Madonna con la recita del Rosario e la visita a molti santuari, la venerazione dei Santi, la preghiera per i defunti, la pratica dei pellegrinaggi.
Fu capace di comunicare prediligendo forme semplici e immediate, con immagini tratte dalla vita quotidiana, riuscendo a entrare subito nel cuore delle persone. La sua santità lo ha portato a indicare le vie del rinnovamento nel grande solco della tradizione.
Giovanni Paolo II era un “uomo di preghiera”. Il centro della sua vita era costituito dall’Eucaristia. La vita interiore era caratterizzata da un totale abbandono al materno aiuto della Beata Vergine Maria come si vide dopo il tragico attentato del 1981 o durante la dura prova dell’avanzamento della malattia. Ringraziava sempre e attribuiva a Dio i meriti di ogni dono ricevuto. L’infanzia non facile, segnata da tre lutti, e l’entrata in seminario proprio nel periodo in cui la guerra ne aveva imposto la chiusura, corroborarono il suo coraggio. Come Arcivescovo di Cracovia mai esitò davanti ai numerosi ostacoli posti dal regime comunista polacco al diritto di professare la propria fede. Con fortezza seppe intervenire a favore dei diritti delle persone, senza sommuovere tuttavia l’ordine pubblico. Il primo motto “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!” pronunciato durante la celebrazione di apertura del ministero segnò il programma del suo lungo Pontificato, rimanendo vivo nei cuori dei fedeli anche dopo la sua morte. Il 13 maggio 1981, giorno dell’attentato, ebbe dal Signore la grazia di poter versare il proprio sangue in nome della fede, come egli stesso disse in riferimento all’accaduto.
Nelle numerose sofferenze morali e durante la malattia fisica Egli giunse ad annunziare il prezioso valore salvifico della sofferenza umana unita al mistero della Croce di Cristo. 

Ha sostenuto l’anelito alla libertà dei popoli oppressi da vari regimi e totalitarismi, affermando la dignità inviolabile di ogni essere umano. 
Ha promosso e rinvigorito il dialogo ecumenico, cercando l’unità e la pace nella viva speranza di una futura piena comunione coi fratelli separati.
Un segno straordinario della sua speranza fu la fiducia che ripose nei giovani, speranza della Chiesa del domani. 
Diede da mangiare e da vestire ai bisognosi, si prese cura dei senza tetto, condivise il dolore dei sofferenti, destinò loro denaro di sua proprietà, visitò ammalati e prigionieri. Nondimeno, istruì, consigliò, consolò gli smarriti di cuore, offrì il proprio perdono all’attentatore e a quanti l’avevano offeso, sopportò con pazienza le persone a lui ostili. 
Verso la fine degli anni ’90, apparvero i primi sintomi del “morbo di Parkinson”, che piano piano lo ridusse ad esercitare il suo ministero da “una sedia a rotelle”. Tutti hanno vissuto con particolare partecipazione e ammirazione la forza con cui seppe affrontare, specie negli ultimi anni, gli impegni pastorali in quelle difficili condizioni.
(www.2papisanti.org)

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